Nella tana dell’arte. Una giornata con Maurizio Bercini

Maurizio Bercini, allievo di Otello Sarzi e per venticinque anni direttore artistico del Teatro delle Briciole, fondato nel 1976 insieme a Letizia Quintavalla e Bruno Stori, nel 2001 da vita, insieme a Marina Allegri, a Cà luogo d’arte. Andiamo a trovarlo per un’intervista nella campagna di Gattatico, dove si prepara per il debutto, al festival Colpi di Scena, di Caro Orco diretto da Davide Doro della Compagnia Rodisio. Uno spettacolo in cui, sulla scia de L’Orco, di Maurizio Bercini e Marini Allegri, che andrà in scena, in serale, sempre al festival ideato da Accademia Perduta Romagna Teatri, si continua a indagare la figura del personaggio più temuto delle fiabe. Ci accolgono i colori sgargianti della vecchia baracca di Otello Sarzi, un vero e proprio pezzo di storia che riposa beato in un prato verde. Ha inizio così la nostra visita, che è un tuffo nella poetica di Maurizio Bercini, la cui sapienza artigianale attraversa ogni oggetto della casa-laboratorio, che visitiamo con l’entusiasmo di chi ha accesso a un piccolo museo per pochi visitatori.

Verso Gattatico. Un’introduzione alla figura di Maurizio Bercini (con Cira Santoro):

Maurizio Bercini: «Ho iniziato con la compagnia del Collettivo di Parma, compagnia che ora gestisce il Teatro Due. Era appena nato il famoso decentramento: anche per i comuni piccoli c’era un grosso patrimonio di teatri da restaurare e la comunità europea cominciava a finanziare il restauro delle sale più significative. Allora a Parma c’era un festival di teatro molto bello, organizzato dalla compagnia del Collettivo. Lì ho rivestito il ruolo di Direttore di Palcoscenico

 

«Una notte con Letizia Quintavalla ci siamo recati in modo molto estemporaneo da Otello Sarzi per chiedere di occuparci di burattini: il giorno dopo abbiamo iniziato io e Letizia, dividendoci lo stipendio di una sola persona e stabilendoci a vivere da lui. Otello era particolare, ma era bravissimo in qualsiasi operazione artigianale. Lui era burattinaio, mentre il nonno Francesco era attore. Diceva di aver fatto i burattini solo perché c’era la guerra e non poteva andare in giro con una compagnia di persone. Allora si è creato una “compagnia” teatrale che potesse stare in una valigia e gli permettesse di girare.»

 

Marina Allegri: «Fare teatro per l’infanzia voleva dire fare territorio, aggregare territori. In quel senso si trattava di un teatro politico: erano operazioni basate su un pensiero molto forte. Si faceva ricerca con in mente quell’orizzonte, c’erano fondi, c’erano le istituzioni, gli assessorati, adesso invece sono i teatranti che cercano semplicemente di “mettere qualcosa” intorno all’infanzia

 

Maurizio Bercini: «Forse la forma che più di tutte sta degenerando è proprio il circo contemporaneo: ora è molto facile prendere delle cantonate, commettere errori di lettura o interpretazione. È stato un po’ snaturato, come il teatro di strada. Soprattutto quest’ultimo direi che è diventato un po’ l’alibi di amministratori, compratori, venditori per risparmiare. Ti si offre solo la “vetrina”, concetto che è secondo me un po’ lo spartiacque fra quello che c’era prima e il dopo, soprattutto dal punto di vista della dignità del lavoro e delle persone. E anche della qualità dei lavori, dell’accoglienza. È avvenuto un ribaltamento: nel momento in cui si è considerato il teatro una vetrina ecco che i protagonisti diventavano quelli che guardavano, non più quelli che facevano gli spettacoli.»

 

«Agli inizi degli anni ’90 siamo arrivati alle Briciole, con 650 spettacoli all’anno, 90 dipendenti e un sacco di lavoro. C’era un dualismo fortissimo a livello stilistico fra me e Letizia Quintavalla e, vista la mole di lavoro, era abbastanza obbligatorio che ci dividessimo le regie. Con 650 spettacoli all’anno, era inevitabile che si formassero praticamente 4 compagnie diverse che giravano. Però nonostante quello, propulsioni e sinergie diverse andavano ad alimentare una visione comune

 

«I bambini vanno abituati anche alla convenzione del teatro e non solo al teatro.»

 

«Per il nostro ultimo lavoro la scenografia infatti è una casa in miniatura, e per me – che sono uno che ama da matti costruire le scene – dover creare un ambiente nel quale poi gli attori devono muoversi è un meccanismo che mi stimola molto. Questo parlando da regista. Da attore, invece, questo giro di essenzialità mi è piaciuto tantissimo, sia che venga messo a punto da me e Marina, sia con Davide Doro (che cura appunto la regia del nostro ultimo spettacolo). Anzi, con Davide, la ricerca dell’essenzialità diventa ancora più rigida, più estrema: l’utilizzo degli oggetti viene ridotto all’osso e si lavoro parecchio su se stessi, cercando di non farsi prendere dal panico. Sai, quando non riesci a risolvere certi passaggi, tendi a pensare a degli escamotage. Davide al contrario ti impone di mantenere la direzione che hai intrapreso, finché le soluzioni per continuare non arrivano spontaneamente

 

Cira Santoro: «Le domande che si facevano ai loro tempi, quando abbiamo iniziato, erano molto pratiche, concrete, artigianali. Rispondevano a esigenze tecniche. Con Letizia Quintavalla ho lavorato per lo spettacolo L’arte di Tatà che facemmo al Crest. C’erano cinque Pulcinella, ognuno con caratteri diversi. Mi ricordo che si parlava poco dei bambini. Era venuto fuori un personaggio del Pulcinella intellettuale, pedante, intelligentone. A un certo punto Letizia mi chiese che immagine stessimo dando dei bambini che studiavano, era una domanda che mi obbligava a immaginarmi qualcosa di diverso nella scrittura. Era una domanda concreta, mentre oggi pensiamo allo spettatore in modo più astratto… dovremmo recuperare quella sapienza artigianale, e pensare a che cosa stiamo costruendo intorno allo spettatore, anche dal punto di vista organizzativo.»

 

Maurizio Bercini: «Lavorando sulla paura, sull’orco… fino a dove puoi spingerti? Se “non si può parlare” qualcosa stride. Mi sembra che oggi chi vende gli spettacoli ha tantissimi timori, e forse in questo senso un problema c’è. Ma, come non si può parlare? Devi studiare il modo per parlare di queste cose, ma non esiste che tu non ne possa parlare.»

Francesco Brusa, Nella Califano, Lorenzo Donati