Il teatro e il mistero dell’infanzia. Breve inchiesta

Ripubblichiamo in questa sezione materiali, spunti, interviste, discussioni già edite altrove in passato ma che ci paiono ancora utili per una discussione sulle forme del teatro che dialoga con diverse generazioni.
A seguire una breve inchiesta realizzata da Altre Velocità e pubblicata nel luglio 2013

 

Cosa chiede il teatro ai bambini? Cosa chiedono i bambini al teatro? Il festival di Santarcangelo cerca di smuovere al suo interno questi interrogativi, appoggiandosi a compagnie che da qualche tempo stanno sviluppando un percorso forte su e con l’infanzia. Pathosformel, Teatro Sotterraneo, Fanny e Alexander, Sacchi di Sabbia hanno fatto di questo elemento un vero e proprio cardine della loro produzione recente. Ora attraverso attività di laboratorio, ora affrontando la tematica nella rappresentazione, ora in spettacoli dove il palco è occupato da gruppi di giovanissimi, le esigenze dell’infanzia e le urgenze della scena si intrecciano in un legame che diventa fonte di crescita per l’una e occasione di rigenerazione per l’altra. Lo sguardo del bambino si è rivelato un alleato prezioso per il teatro, portatore di domande che incrinano le certezze a un tempo di attori e spettatori. I protagonisti di questa ricerca ci spiegano allora qual è il loro rapporto con un terreno tanto misterioso quanto fecondo. Alla loro si aggiunge la voce di Alessandra Belledi del Teatro delle Briciole, struttura che con il percorso “Nuovi sguardi per un pubblico giovane” ha prodotto le opere di alcuni di questi gruppi.

Pathosformel
«All’interno del nostro percorso è stato piuttosto azzardato intraprendere una relazione creativa diretta con i bambini. Nella performance del progetto T.e.r.r.y. i bambini sono autori delle proprie azioni e delle forme proposte, elaborate da loro stessi nei laboratori che precedono il debutto. Questo porta dentro l’opera una materia incontrollabile, un’indeterminatezza con cui nei nostri lavori non abbiamo avuto a che fare fino ad adesso. Il laboratorio è per noi un luogo sperimentale in senso stretto: creiamo un contesto e vi inseriamo un elemento che lo possa modificare. La domanda che poniamo ai bambini è “come immaginate il futuro”, e gli chiediamo così di costruire un nuovo mondo possibile, che abbia anche delle nuove regole, diverse da quelle del mondo attuale, basato su un sistema economico nel quale le richieste sono superiori alle risorse disponibili. Vogliamo sapere da loro qual è il sistema di relazioni nel quale gli piacerebbe vivere, se avessero la possibilità di distruggere il presente».

Giovanni Guerrieri / I Sacchi di Sabbia
«Guardare all’infanzia è frutto di una lunga metabolizzazione. Come molti gruppi a noi coetanei (il nostro primo lavoro è del ‘95), ci siamo trovati dentro a un indagine feroce del quotidiano. Ci muoveva un senso di asfissia, l’urgenza di guardare le cose con ferocia facendo i conti con i nostri pregiudizi sulla realtà. L’ansia di “urlare” diveniva pressante, e con 1939 (che ha debuttato nel 2007) per la prima volta è comparso Emilio Salgari: a un certo punto un personaggio diceva «ci vorrebbe un Salgari che ci raccontasse…». Sandokan (2008) ha dunque indagato un materiale caro per la nostra formazione, verso una dimensione biografica, e da quel momento si è aperta una falla che ci ha spalancato la via al mondo dell’infanzia. Con Pop up, portato qui al festival, cercavamo uno spettacolo per bambini in grado di funzionare anche per noi, che siamo adulti. La sfida consisteva nell’eliminare l’ingombro dei corpi per rendere il segno pulitissimo, una pennellata essenziale che chiama il bambino a un movimento con la fantasia».

Teatro Sotterraneo
«Dal momento che molte delle esperienze che facciamo sono mediate, si può dire che la nostra vita non sia più fisica, immersa come è in un sistema di codici. Anche il teatro è un codice ma prevede la presenza, per questo può essere una palestra che allena a riconoscere altri codici, per capire quale manipolazione sia in atto, che tipo di realtà venga proposta. Al bambino che lavora con noi per Be Legend! abbiamo esteso lo stesso lavoro di simulazione che pratichiamo nel nostro teatro. Gli abbiamo raccontato la storia di Amleto, per poi chiedergli di dimenticarla o prenderne ciò che voleva e infine costruire una docufiction del bambino-Amleto. Lavorando con attori professionisti, spesso affiora la domanda sul perché si stia facendo una determinata azione. È la domanda che a noi interessa meno, facendo teatro. Nessun bambino ce l’ha mai posta, perché quel tipo di scarto appartiene all’infanzia naturalmente. Così è il bambino che nutre noi, non viceversa, nel momento in cui gli facciamo richieste legate al gioco teatrale».

Chiara Lagani / Fanny&Alexander
«Nel percorso di Fanny & Alexander la riflessione sull’infanzia come luogo specifico e di elezione c’è sempre stata, ne abbiamo fatto uno degli archetipi fondamentali della nostra produzione artistica. Spesso il teatro guarda al bambino come organo propulsivo della creatività e della vitalità, alla sua capacità di stipulare il contratto ludico e di immedesimarsi con una versatilità priva di membrane protettive. Queste sono metafore generative per il teatro, chiunque di noi vorrebbe essere così poco protetto e così puro rispetto a una visione. Per gli spettacoli Discorso Giallo e Giallo – Radiodramma dal vivo, invece, l’infanzia non è solo un luogo simbolico, ma è uno spazio concreto che abbiamo dovuto attraversare chiedendoci cosa significasse educare e cosa sia l’educazione. Domande che abbiamo voluto rivolgere direttamente ai bambini, soggetti privilegiati di questo processo misterioso e complesso, che a loro volta ti pongono di fronte a quesiti sconvolgenti, dal punto di vista artistico e umano».

Alessandra Belledi / Teatro delle Briciole di Parma
«Il nostro lavoro è preliminare all’andare a teatro: agli spettatori bambini occorre insegnare come andarci. Dobbiamo insegnare loro a sospendere il rumore e a fare silenzio una volta entrati, fare loro capire che stanno per entrare in una dimensione di extraquotidianità. Questo va un po’ indotto, altrimenti pretenderanno di trovarsi come al cinema con la merenda e la coca-cola in mano. I bambini non sono gli spettatori del futuro ma del presente. Siamo abituati sempre più a consumare tutto, anche l’arte, per questo è necessario educare chi guarda. L’esperienza che i bambini potranno vivere dentro al teatro li allontanerà dal frastuono, dal multitasking, facendogli fare un’azione di vita vera. La relazione teatrale diventa insomma sempre più vitale. E questo vale anche per gli adulti. Il teatro per l’infanzia, semplicemente, esalta ciò che vale per tutti: per i bambini e per gli adulti la relazione va portata avanti in un modo più attento».