La parola ai protagonisti: teatro ragazzi e pedagogia – Seconda parte

Pubblichiamo il seguito delle nostre conversazioni con alcuni dei protagonisti della nona edizione del festival “Teatro fra le generazioni” di Castelfiorentino. Ci interroghiamo sul rapporto tra arte e pedagogia nel teatro ragazzi e sulla scelta dei contenuti e dei linguaggi negli spettacoli da destinare al giovane pubblico. (qui la prima parte)

Simone Guerro Il grande gioco, Associazione Teatro Giovani Teatro Pirata

Fabio Spadoni e Simone Guerro fuori dal Teatro del Popolo di Castelfiorentino, durante l’intervista per Planetarium.

Per noi il pubblico dell’infanzia non è mai un pubblico di bambini, ma un pubblico di persone, con la loro sensibilità e la loro complessità. La prima questione che mi pongo è quella del linguaggio, che significa essere all’altezza di quel pubblico, che è esigente e ti chiede verità, e non abbassare il livello o adoperare delle semplificazioni. Occuparmi di teatro ragazzi mi permette anche di fare teatro politico: credo, infatti, che oggi il vero teatro politico sia proprio questo perché il pensiero pedagogico è un pensiero politico.

Nello spettacolo “Il grande gioco” la morte è un pretesto per parlare della vita, perché della morte non c’è nulla da dire. Per parlare della vita occorre confrontarsi con il fatto che esiste un inizio e una fine, un tema che cerco di far emergere spesso. È nata così l’idea di due fratelli per i quali la morte diventa la possibilità di fare le cose importanti, di stare insieme, di volersi bene, perché non c’è più tempo da perdere.

L’altro tema fortemente politico di questo spettacolo sta nel fatto che in scena c’è un attore disabile, Fabio Spadoni, considerato dalla società un debole, una persona da accudire e per la quale provare compassione (un’idea che non mi appartiene per niente!). Nello spettacolo, invece, è proprio Fabio, affetto da sindrome di Down, ad avere il ruolo della persona forte, che prova a risollevare il fratello malato. La forza di Fabio sta nella sua gentilezza, nella sua allegria, lui non è mai cattivo e questa forza è quella che ritroviamo nello spettacolo. Far stare in piedi questo ragionamento è arte, è politica. Il tema che mi interessa di più è come una cosa delicata possa avere una forza prorompente: bisogna difendere la delicatezza mostrandone la forza.

Marco Ferro, Manuela De Meo, Pietro TraldiNon ho l’età, Riserva Canini

Non ho l’età (dal sito:campsiragoresidenza.it)

Da diversi anni costruiamo i nostri spettacoli a partire dal materiale raccolto nei percorsi laboratoriali che facciamo insieme a gruppi di bambini di tutta Italia in presenza degli insegnanti, e che sviluppiamo intorno a un tema specifico. “Non ho l’età” ad esempio si interroga sul concetto di tempo.

Abbiamo incontrato bambini dai 6 ai 10anni e con loro abbiamo ragionato sul presente, sul passato sul futuro e su tutti gli aspetti legati allo scorrere del tempo, come la memoria, il ricordo, le esperienze che si fanno a seconda delle fasi della vita, il rapporto con i nonni e con gli anziani e il rapporto con la morte. Ogni incontro veniva suddiviso in due parti, una prima in cui con un registratore raccoglievamo gli spunti delle discussioni collettive e una seconda in cui a partire da quella discussione iniziavamo a elaborare fisicamente il tema proposto attraverso giochi, esercizi teatrali corporei e percettivi e, infine, attraverso l’espressione artistica (disegni, manipolazione della creta e dell’argilla…).

Questo processo per noi è fondamentale perché ci permette di costruire lo spettacolo con consapevolezza, a partire dalla percezione che il bambino ha sul un certo tema. Per noi l’importante è lavorare a tutto tondo, senza prefissarci degli obiettivi pedagogici, ma creare suggestioni, mettere un tema in campo e lasciare la possibilità ai bambini di svilupparli. Grazie ai bambini si possono aprire delle piste rispetto ai temi trattati, che a volte sono considerati tabù dagli adulti.

Parlare di morte a bambini di sette anni significa riportarli a un’esperienza che molti di loro in qualche modo hanno già vissuto, bisogna solo trovare la chiave giusta per affrontare questi temi, ma non rimuoverli, perché loro sanno bene che esiste una fine della vita. Certo sono temi delicati, per cui ci siamo chiesti quali mmaginari, quali parole, quali ritmi utilizzare per veicolarli. Questo richiede sempre un grande sforzo, per cui spesso ci siamo trovati a dover ricalibrare lo spettacolo a seconda delle reazioni dei bambini.

Katarina Janoskova e Paolo ValliLa gazza ladra, Compagnia L’asina sull’isola

Katarina Janoskova e Paolo Valli durante una scena de La gazza ladra

Nel teatro di figura si opera sempre uno spostamento di senso. Nel caso dell’ombra, quello che ci interessa è la possibilità di proiettare in quella macchia nera tutto ciò che si ha nella testa: non si tratta di una forma definita e questo aiuta i bambini, abituati oggi a immagini già pronte all’uso, a utilizzare l’immaginazione. Questo succede in tutto il teatro di figura perché non c’è il limite del corpo che ha l’attore fatto di carne e ossa. Gli spettatori, sia adulti che bambini, hanno tutto un mondo da investigare, un altrove evocato grazie alla magia dell’artigianalità. I bambini stanno
perdendo la manualità e lo stupore, per cui è necessario riportare la loro attenzione sulle cose semplici: questi antichi saperi sono in grado di farlo e in questo si manifesta decisamente una forma di pedagogia.

Simona GambaroPollicino, Teatro del piccione e Teatro della Tosse

Paolo Piano e Simona Gambaro durante una scena di Pollicino (dal sito: teatrodelpiccione.it)

L’intenzione nel nostro modo di fare teatro è quella di muovere delle domande: non vogliamo insegnare qualcosa, ma lasciare emergere delle questioni sulle quali tutti si possano interrogare. Il linguaggio che scegliamo di utilizzare è certamente calibrato perché possa essere compreso dai bambini, ma la fiaba già di per sé parla a ognuno di noi. Io non faccio uno spettacolo se non sento un fuoco dentro e anche la forma, l’immagine, che curiamo molto, sono sempre al servizio di questo fuoco, di una domanda esistenziale. Ogni volta che il teatro si manifesta, diventa esperienza e smuove qualcosa.

Io sono specchio degli spettatori e tramite insieme a loro di un incontro e in mezzo avviene qualcosa che lascia delle domande. Quando recito in Pollicino sono dentro a questo riverbero e ogni volta ritrovo nello spettacolo un pezzetto di me,della mia vita. Ne “La grammatica della fantasia” Rodari scriveva che le storie sono come un sasso lanciato nello stagno che crea cerchi concentrici:anche se tu non lo vedi, questo riverbero,questo cerchio che si allarga nell’acqua fa muovere tutto il resto, i bordi dello stagno,il filo d’erba e così via. In questo spettacolo noi non mettiamo il pubblico in una condizione di agio,ma di movimento, sperando che qualcosa riverberi ancora e ancora.

I formatori come i genitori e gli insegnanti hanno tra le mani una materia calda informe. Sicuramente dallo spettacolo scariruranno delle domande. Ci si butta insieme. I registi ci hanno detto di affidarci totalmente alla fiaba senza paura,di non aggiungere altro, ma di tenere dentro tutta la vita della fiaba più siamo fedeli e più lasciamo aperture, meno tentiamo di interpretare più lasciamo che quel bosco rappresenti per ognuno di noi un attraversamento diverso

Riccardo RombiVulcania, Compagnia Catalyst

Rosario Campisi e Giorgia Calandrini in una scena di Vulcania

«Il teatro è civile per definizione. I bambini sono pronti a recepire il messaggio che vogliamo trasmettere in modo immediato
con spettacoli come Vulcania, che tratta dei principi della nostra Costituzione Per loro è ovvio e intuitivo che ai diritti corrispondano i doveri. Tra loro non ci sono differenze, si rispettano profondamente, non distinguono le persone per il colore della pelle o per la provenienza. Sono gli adulti che non credono più nei principi della Costituzione e che in nome del realismo sono sempre pronti a porre ostacoli tra loro e i loro doveri. Il teatro oggi può e deve aiutare i bambini a diventare cittadini e persone libere».

Nella Califano, Michele Spinicci