Segni New Generation Festival Terzo: drammaturgie

Nel programma della XIV edizione di Segni New
Generations Festival
(Mantova, 26 ottobre -3 novembre
2019) sono state dedicate quattro giornate a un confronto trasversale
sul mondo del teatro ragazzi. Tra gli obiettivi, quello di indagare
la relazione tra i sistemi produttivi e le estetiche, e le relazioni
di scambio in una dimensione europea.
I Dialoghi
sulle estetiche del teatro ragazzi
sono stati progettati e
coordinati in collaborazione con il team del progetto Liv.In.G
(
Cristina Cazzola, Cristina Carlini,
Giuliana Ciancio,
Carlotta Garlanda, Giulio Stumpo) e
articolati intorno ad alcuni temi chiave: partecipazione; rapporto
con le istituzioni; drammaturgie.

Quali le peculiarità della scrittura all’interno del complesso orizzonte del teatro ragazzi? Tre linee di confronto sono emerse con maggiore forza: il punto di vista adottato nella visione drammaturgica, muovendosi amletici fra lo sguardo del bambino e quello dell’adulto; la finalità didattica, spesso territorio di avvicinamento fra teatranti, mediatori, insegnanti; il rinnovamento semantico, non solo in termini creativi.

Spunto quest’ultimo condiviso da Francesca d’Ippolito (Factory Compagnia Transadriatica Teatro), che ha sottolineato inoltre la necessità di allontanarsi da parole ghettizzanti. Pensiero potenzialmente di ampio sviluppo. Anche per la visione sul contemporaneo che presuppone. Le ramificazioni extra-teatrali. All’interno di un settore modificatosi negli ultimi anni per temi affrontati, grammatiche, lessico. Perfino ironia. Eppure la riflessione è rimasta come sospesa. Un poco fagocitata dai continui rimandi alla difficoltà nel rapportarsi con scuole e istituzioni. Un approccio sulla difensiva che ha incanalato il dialogo verso un’analisi piuttosto ingrigita dello stato dell’arte, condizionata nel profondo da dinamiche politico-sociali. Antropologiche, ha azzardato qualcuno. In termini artistici, un apparente filtro con se stessi che ci si domanda se a volte non abbia i connotati dell’autocensura preventiva. E pazienza che il problema in realtà riguardi il mondo intero e non solo il teatro. La frequenza con cui si è riportato il discorso a questo ostacolo del quotidiano, dà probabilmente la misura di come il problema venga percepito nel suo complesso, ben prima di affrontare la pagina bianca.

Più strettamente teorica la questione del punto di vista, anche per il suo legame con le discipline pedagogiche. Perentorio in questo Koehler Detlef (Theater Gruene Sosse, Francoforte), che ha più volte ribadito come lo scopo didattico sia imprescindibile in qualsiasi produzione. Come se il palcoscenico fosse prima di tutto veicolo di messaggio e strumento di avvicinamento. Altre posizioni sono parse più sfumate. O confuse. Talvolta quasi a difendere una propria natura artistica tout court, forse percepita in pericolo di fronte a una limitazione di temi e di orizzonti. D’altronde la riflessione del teatro per ragazzi come figlio di un dio minore è fra quelle che tornano e ritornano con maggiore frequenza. E ambiguità. Rischiando di alimentare un processo di auto-etichettamento che non sembra fare un gran bene all’ambiente (vengono in mente certe dinamiche proprie delle profezie che si auto-avverano). Specie quando arriva ad essere argomentato con giustificazioni identitarie. Forse la nicchia a cui spesso si fa riferimento è più comoda che restrittiva. Il rischio – lo ha fatto intendere la direttrice artistica Cristina Cazzola – è che in questa bizzarra comfort zone a molti non dispiaccia trovare il proprio cantuccio. Eppure la percezione complessiva è che il settore meriti una visione meno sulla difensiva. Di se stessi e del proprio lavoro. A proteggere una virtuosa predisposizione alla ricerca e alla sperimentazione.

Uno scarto. Di prospettiva. In direzione di una presa di consapevolezza come categoria. Concetto purtroppo soltanto sfiorato. Ma da cui probabilmente passa l’acquisizione (o meno) di strumenti utili per cambiare i rapporti di forza politici con istituzioni, realtà locali, scuola. Magari lavorando insieme perché il teatro diventi materia curriculare. L’idea al momento possiede ancora connotati utopistici. Ma non è detto che le cose non possano modificarsi parecchio in fretta nel futuro prossimo. Per un obiettivo che riuscirebbe ad unire necessità sociali, artistiche, lavorative. Non male.

Diego Vincenti