Segni New Generation Festival Secondo: rapporti con le istituzioni

Nel programma della XIV edizione di Segni New Generations Festival (Mantova, 26 ottobre -3 novembre 2019) sono state dedicate quattro giornate a un confronto trasversale sul mondo del teatro ragazzi. Tra gli obiettivi, quello di indagare la relazione tra i sistemi produttivi e le estetiche, e le relazioni di scambio in una dimensione europea. I Dialoghi sulle estetiche del teatro ragazzi sono stati progettati e coordinati in collaborazione con il team del progetto Liv.In.G (Cristina Cazzola, Cristina Carlini, Giuliana Ciancio, Carlotta Garlanda, Giulio Stumpo) e articolati intorno ad alcuni temi chiave: partecipazione; rapporto con le istituzioni; drammaturgie.

Secondo dialogo: i rapporti con le istituzioni

Lavorando in un orizzonte in cui sembra negli ultimi anni essersi accresciuto il grado di consapevolezza (awareness secondo i criteri disciplinari europei in materia di progettazione culturale) sia negli operatori e artisti che nel pubblico, si è consolidata la tendenza a percepirsi parte di una community che si confronta sulle estetiche in rapporto ai modelli produttivi di business e governance, nazionali e internazionali. Nonostante risulti sempre più urgente soffermarsi sulle modalità in cui le estetiche relazionali stanno ibridando la ricerca contemporanea e quindi anche e soprattutto il teatro ragazzi, e come queste poi contribuiscano a delineare i confini dell’arte partecipativa; è opportuno innanzitutto comprendere come le estetiche stesse possano, e debbano, affermarsi nella loro libertà di espressione mantenendo tuttavia il rispetto dei parametri burocratici e amministrativi, i quali ne dovrebbero permettere il sostegno produttivo e distributivo. Si è inoltre discusso durante il pomeriggio della non sempre facile scelta, nella maggior parte dei casi obbligata, di molte compagnie di teatro ragazzi di lavorare per e con le scuole. L’istituzione scolastica resta infatti l’istituzione principale alla quale fare riferimento per l’accesso ai fondi. Perché le compagnie devono adattarsi necessariamente ai programmi formativi ministeriali pena l’esclusione dai finanziamenti? Perché l’ente scuola non considera lo spettacolo in sé andando oltre la più frequente richiesta laboratoriale? Queste sono solo alcune delle domande prese in esame. Individuando delle direttrici argomentative riguardanti cosa funziona, cosa manca e cosa si dovrebbe migliorare, i partecipanti al dibattito hanno discusso tanto dell’atteggiamento di chiusura da parte di alcuni enti e della loro frequente disinformazione quanto, allo stesso modo, del bisogno di dover entrare in contatto con le istituzioni del territorio, interlocutori indispensabili ma limitanti se non in grado di formarsi adeguatamente. La condivisione culturale e territoriale, tuttavia, deve fare i conti con una realtà frastagliata e differenziata da regione a regione, dove alcuni possiedono capillarità e ascolto e altri hanno difficoltà strutturali. Assunto di contesto in virtù del quale si potrebbe iniziare col ragionare attorno a interventi che, nel rispetto delle diverse specificità, possano vertere in primis su un programma di formazione e aggiornamento di un lessico della pratica scenica compreso e usato adeguatamente da tutti, affinché non ci siano incongruenze di significato fautrici di futili rallentamenti di percorso. In assenza di un vocabolario, il concetto di libertà quanto quello di pratica rischiano di inficiare la stessa progettualità condivisa alla quale gli intervenuti si sono ripetutamente appellati durante il dibattito. Sembrano infatti mancare degli strumenti riconosciuti e usati unanimemente: ciascuno dei partecipanti se da un lato ha fatto riferimento a problematiche comuni, dall’altro queste però sono state denunciate attraverso proposte di risoluzione dissimili che testimoniano come la consapevolezza del proprio operato sì cresce ma non è indirizzata verso una prospettiva che possa così trovare un’applicabilità formale ed egualitaria. Non stiamo parlando di uniformare le pratiche quanto invece di ragionare congiuntamente su processi estetici e manageriali perseguendo obiettivi che siano comuni e riconoscibili nel rispetto delle peculiarità specifiche di ogni singolo caso.

Lucia Medri




Segni New Generation festival Primo: partecipazione

Nel programma della XIV edizione di Segni New Generations Festival (Mantova, 26 ottobre -3 novembre 2019) sono state dedicate quattro giornate a un confronto trasversale sul mondo del teatro ragazzi con l’obiettivo di indagare la relazione tra i sistemi produttivi e le estetiche. Quanto incidono le prassi di distribuzione e finanziamento sugli esiti della creazione? Quanto è riconoscibile all’estero uno spettacolo italiano? La consapevolezza della propria identità e le prospettive di scambio in una dimensione di mercato europeo sono state un altro punto centrale: per questo motivo I Dialoghi sulle estetiche del teatro ragazzi sono stati progettati e coordinati in collaborazione con il team del progetto Liv.In.G (Cristna Cazzola, Cristina Carlini, Giuliana Ciancio, Carlotta Garlanda, Giulio Stumpo) piattaforma impegnata nelle internazionalizzazione delle imprese culturali. Le giornate di dialogo sono state articolate intorno ad alcuni temi chiave: partecipazione; rapporto con le istituzioni; drammaturgie.I Dialoghi sulle estetiche sono pensati come un vero e proprio cantiere di ricerca, di cui la prima edizione mantovana rappresenta una tappa-pilota.

Primo dialogo: Partecipazione

Parola chiave dell’agenda europea, la partecipazione è diventata il vero e proprio mantra di questa decade. Coinvolgimento attivo del pubblico, inclusione delle fasce sociali “deboli” per età o posizionamento, pratiche di co-creazione: non c’è bando nel quale non si faccia cenno ad almeno uno di questi aspetti. In occasione del primo dialogo, i partecipanti sono stati invitati a ragionare sulle questioni ancora aperte e sui nodi problematici. In particolare: quali effetti hanno avuto sulle estetiche oltre dieci anni di politiche sulla partecipazione? Come si declinano simili pratiche in un ambito, come il teatro ragazzi, costitutivamente orientato al coinvolgimento attivo del pubblico? Quali sono le questioni calde dal punto di vista educativo?

Il
primo passaggio da fare, secondo la maggioranza dei partecipanti, è
non ragionare in termini di semplice intrattenimento: la
partecipazione va vista piuttosto come un vero e proprio “learning
process” che può risultare faticoso e non per forza piacevole.
Ogni proposta deve dunque cercare di tenere in equilibrio le due
polarità necessarie in un processo di apprendimento: libertà e
coercizione. Lavorare sulla partecipazione – viene sottolineato da
più parti – non deve essere il pretesto per arretrare sul fronte
estetico o educativo. Il proliferare di drammaturgie aperte con
finali “on demand”, dove è lo spettatore a decidere l’esito
della storia, è un esempio di come si rischi di produrre
semplificazione: il teatro non deve rinunciare a proporre poetiche,
mondi, immaginari, delegandoli in toto allo spettatore.
L’attivazione diretta del giovane pubblico deve essere anzi una
ricerca di complessità; una strada per scardinare gli automatismi
del pensiero dato, per recuperare le potenzialità del pensiero
critico e per educare all’autonomia.

In
termini di progettazione, lavorare sulla partecipazione significa
prevedere un impegno dell’operatore a lungo raggio, che parte
dall’ideazione e arriva fino alla misurazione dei risultati: un
ruolo di tessitura che raramente viene riconosciuto in termini
economici, perché si tende troppo spesso a guardare solo al “qui e
ora” dell’incontro con il pubblico. La possibilità di
concentrarsi invece sul “prima e dopo” dei processi di
partecipazione – concedendosi spazi di deposito dei progetti e di
riflessione – potrebbe fare la differenza, soprattutto in termini
di valutazione dell’impatto: quali azioni si sono rivelate più
incisive? È possibile individuare modelli e buone pratiche
replicabili? Quali sono gli indicatori di un esperimento
partecipativo particolarmente riuscito?

I processi di attivazione del pubblico nel teatro ragazzi hanno poi specifiche difficoltà; non ultima la necessità di rivolgersi anche a un mediatore (insegnante, genitore, educatore), e di dover quindi prevedere un ulteriore ‘target’ per le proprie pratiche. Molte, dall’altro lato, le potenzialità ancora inesplorate. Lavorare con le giovani generazioni permette di avere un osservatorio privilegiato sulle tendenze e i cambiamenti in corso e consente, se si è disposti a mettersi in autentico ascolto, di lavorare con enorme libertà. Per questo motivo il teatro ragazzi potrebbe costituire, forse più di quanto sia stato indagato fin ora, uno straordinario laboratorio di sperimentazione sulle pratiche della partecipazione. Mettere alla prova formule funzionali ma già trite, rinnovare i linguaggi, scoprire nuove possibilità di co-creazione, anche nel rapporto con le nuove tecnologie: gli spazi di lavoro con le giovani generazioni potrebbero trasformarsi in un’area di vera e propria avanguardia progettuale.

Maddalena Giovannelli