Lo sguardo bambino, fra pedagogia e spinte artistiche. Una riflessione dal Puglia Showcase Kids 2019

Si dice al bambino non si può mentire, l’infanzia è innocente, pura, lo sguardo bambino privo di sovrastrutture. Questo sguardo, che va dunque stimolato in diversi e variegati modi, può orientarsi libero sulla scena: ricondurre a unità narrativa ciò che è solo accennato oppure disarticolare ciò che invece pare stare in un complesso organico, soffermarsi su elementi secondari ed elevarli a principio, personificare luci e scenografie dentro storie parallele per scordarsi, magari, del protagonista. È diretto lo sguardo-bambino, ride solo se gli vien da ridere e piange solo quando ha di fronte a sé qualcosa che lo porta a piangere. Reclama sincerità lo sguardo-bambino.
Eppure, verrebbe da dire, anche dentro al gioco finzionale del teatro il bambino mente. Può mentire, perlomeno. L’immaginazione di intrecci alternativi o la deliberata trasfigurazione di parti dello spettacolo sono – oltre che felici esercizi di fantasia e di libertà spettatoriale – innanzitutto dei modi in cui i ragazzi “negoziano” il loro essere prossimi alla scena. Mentono a se stessi, per non voler sostenere verità forse troppo pressanti. Mentono a noi, adulti, per conservare una visione – questa sì, più “pura” – che risponda solo ai propri intimi desideri e paure. Se l’infanzia è un’invenzione (e, in una certa misura, lo è, come ricordano le indagini di Neil Postman – La scomparsa dell’infanzia e di George BoasIl culto della fanciullezza), i caratteri di innocenza e spontaneità che siamo soliti attribuire allo sguardo-bambino sono perlopiù delle nostre proiezioni. Sono anzi gli strumenti con cui, andando a tutelare e proteggere lo statuto infantile, tuteliamo e proteggiamo innanzitutto quello adulto da una vicinanza che rischia di essere pericolosa: la vicinanza con il noi-bambino, sulla negazione del quale si basa buona parte della nostra “architettura sociale”.
D’altronde (per riprendere un tema non secondario a teatro, che avevamo già provato a sviscerare qui), ricorda la psicanalista Alenka Zupancic nel suo recente saggio Che cosa è il sesso: «Se la sessualità infantile costituisce una “zona” così pericolosa e sensibile, non è virtù della sua distanza e del suo contrasto con la sessualità adulta, ma al contrario per la sua prossimità. Se la sessualità infantile non è coperta né dalla biologia né dal simbolico (“cultura”), lo scandalo più grande della teoria freudiana sta nel dire che, in tutto e per tutto, questa situazione non cambia poi così tanto quando diventiamo adulti».
Perciò il teatro ragazzi è, almeno in teoria, un viaggio nell’inconscio, un gioco di specchi multipli. Postulando uno spettatore “privilegiato”, ne postula anche la sua radicale alterità rispetto al linguaggio teatrale stesso e questo fa sì che il parlare di sé in scena (“il parlare di sé della scena) sia sempre un discorso indiretto, sebbene estremamente diretti sembrino i mezzi espressivi con i quali lo si sostiene.

Gli spettacoli del Puglia Showcase Kids 2019, che si è svolto entro la cornice del Napoli Teatro Festival, si rapportano in vari modi a tale contraddizione. Se Canto la storia dell’astuto Ulisse, scritto e diretto da Flavio Albanese, prova a modulare l’andamento ritmico della narrazione sulla base delle reazioni dei ragazzi, intessendo dunque un rapporto con il pubblico e con l’opera trasposta in scena che è, al contempo, di intima complicità e di sfrontata messa in discussione, Tonio De Nitto con Diario di un brutto anatroccolo sembra invece attestarsi su un territorio di “trasfigurazione iperbolica” della fiaba originale, per cui l’intreccio viene di volta in volta riadattato, traslato per metafore, “universalizzato” sino a divenire danza, gesto; Tutina e il cervo di Maristella Tanzi e Francesca Giglio pare “replicare” l’attitudine fanciullesca in una serie di quadri di movimento che si sviluppano in maniera mimetica (a partire dagli esercizi laboratoriali sperimentati con i bambini nella fase preparatoria dello spettacolo) rispetto a esercizi laboratoriali per ragazzi , mentre Operastracci di Enzo Toma fissa quasi una soglia di “delicatezza scenica” entro la quale costruire accenni coreografici, al limite fra l’astratto e il naturalistico, fra l’allusivo e il didascalico; Cappuccetto Rosso di Michelangelo Campanale e Zanna Bianca di Niccolini/D’Elia, l’uno attraverso i corpi dei performer e l’altro attraverso la parola (che scaturisce dal rapporto con la materia), esplorano la dimensione più sensoriale e sensuale della narrazione, concepiscono gli spettacoli come delle “scenografie in movimento” vive, grondanti di colori e stimoli percettivi; Costellazioni. Pronti, partenza… spazio!, spettacolo senza parole di Savino Italico, Olga Mascolo, Anna Moscatelli e Giorgio Rossi, stimola la percezione dello spettatore riproducendo l’assenza di gravità grazie all’utilizzo del corpo dei danzatori, che riesce a descrivere l’atmosfera di un fantastico viaggio nell’universo; Così Pulcilele… omaggio a Emanuele Luzzati di Paolo Comentale e Schiaccianoci swing di Stefania Marrone e Cosimo Severo pongono l’accento sull’onirico, sullo sfilacciarsi dell’intreccio che fa tutt’uno col dipanarsi dell’energia scenica verso linguaggi extra-teatrali quali il concerto o i giochi di ombre e figure; con Ahia! di Damiano Nirchio, il linguaggio del teatro di figura si mescola al teatro d’attore per affrontare uno dei più grandi interrogativi della vita, lasciando dei momenti di vuoto, nel quale a parlare è la scenografia, pensata per accogliere ombre e proiezioni, e concedere allo spettatore un momento privato di riflessione; Biancaneve, la vera storia di Michelangelo Campanale, affronta in maniera diretta i termini del rapporto tra l’adulto e l’infanzia, che vorrebbe essere preservata, addolcita, fino a nascondere la verità, quella di una madre che è disposta a uccidere la propria figlia pur di strapparle il primato della bellezza; allo stesso modo Nel castello di Barbablu di Raffaella Giancipoli la crudezza della fiaba non viene risparmiata agli spettatori e si rivela tutta nella figura del protagonista, nei suoi modi che destano inquietudine, nei suoi comportamenti ambigui, che esplodono nella rabbia verso la sua sposa maltrattata e minacciata.

In generale, quasi tutti gli spettacoli sembrano attestarsi su “evocazioni tematiche” il più possibile ampie e indefinite. Appoggiandosi nella maggior parte dei casi su storie e parabole che già sono inserite in un immaginario comune, le proposte del Puglia Showcase Kids 2019 immergono fin dall’apertura del sipario il bambino nel vivo delle questioni che intendono affrontare: la paura, il distacco, il mistero della nascita e della morte, l’evasione dal reale, il ripetersi della gioia e della festa, un rapporto – non sempre pacificato – con l’animalità… Come a voler rendere ancora più immediata tale immersione, in molti scelgono il corpo e i movimenti per veicolare l’espressività narrativa (Diario di un brutto anatroccolo, Tutina e il cervo, Operastracci, Cappuccetto Rosso, Costellazioni. Pronti, partenza… spazio!); chi, invece, si appoggia alla parola lo fa comunque servendosi di un linguaggio altamente descrittivo e immaginifico (Zanna Bianca) oppure ancorandosi a contesti poetico-mitologici ben riconoscibili (Canto la storia dell’astuto Ulisse) o alla spontanea intelligibilità e allo spontaneo coinvolgimento offerto dal commento sonoro (Schiaccianoci swing) o riscrivendo i classici per lasciare emergere temi scottanti (Biancaneve, la vera storia e Nel castello di Barbablu) oppure ancora lasciando che la parola venga veicolata da una figura (Pulcilele… omaggio a Emanuele Luzzati e Ahia! ), in modo che si ponga da una parte una distanza tra il pubblico e la narrazione, percepita come onirica e surreale, e dall’altra si inviti lo spettatore a una più profonda immedesimazione, perché non ci si rispecchia nel personaggio, ma nella sua essenza, nelle sue stesse domande.
Al netto delle differenze fra i singoli spettacoli, c’è dunque la volontà (e la capacità) di “sostare” assieme al bambino in “zone di condivisione” di una pratica scenica, all’incrocio fra lo sguardo infantile (vale a dire, la sua presupposta purezza) e lo sforzo pedagogico dell’artista. C’è, cioè, la volontà quasi di “oliare” il meccanismo teatrale, di sfrondare la mise en scene, per restituire una visione il più possibile lucida, chiara, dritta al cuore degli eventi e al motore delle scelte. È un lavoro, a tutti gli effetti, di “cura”: individuazione delle esigenze, ricerca di un alfabeto comune, spostamento della prospettiva verso il fruitore.
Viene da chiedersi, però, se l’attenzione pedagogica non rischi a volte di andare a discapito della sperimentazione artistica. Non tanto a livello di linguaggi, rispetto ai quali anzi il Puglia Showcase Kids 2019 offre anche felici episodi di elaborazione scenica e potenza espressiva, quanto proprio in vista di un ripensamento del referente e del suo statuto spettatoriale. A quale bambino si rivolge il teatro ragazzi? Si scorge, a tratti, un’aderenza talmente completa e ricercata da parte degli spettacoli con lo sguardo del pubblico che essa sembrerebbe rispondere a un’idea, se vogliamo, un po’ infantile dell’infanzia: quella cioè di uno spettatore giustamente privo di sovrastrutture, ma dimentica del fatto che è l’infanzia stessa a essere una sovrastruttura. Col rischio dunque di appiattirsi sul senso comune, di fare un teatro a immagine e somiglianza del bambino invece che – attraverso quest’ultimo – provare a immaginarsi un teatro che assomigli a noi tutti, nella (perturbante) alterità che ci accomuna.

Francesco Brusa (con contributi di: Nella Califano, Andrea Pocosgnich)




Pulcilele: sfaccendato cronico e antieroe ribelle

C’è una piccola casa immersa nel buio, un teatrino di legno disegnato semplicemente, in stile cartoon inquadra tutto, storia e personaggi; sul tetto della piccola casa dorme un Pulcinella. Un lavoro, questo di Granteatro Casa di Pulcinella, che nasce per omaggiare Emanuele Luzzati quando nel 2017 trascorsero 10 anni dalla sua scomparsa. Il gruppo guidato da Paolo Comentale, che ha avuto la possibilità di mostrare Pulcilele… omaggio a Emanuele Luzzati nell’ambito della vetrina Puglia Showcase Kids 2019 all’interno del Napoli Teatro Festival si è lasciato ispirare dal lavoro di creativo dell’artista genovese allestendo uno spettacolo in cui la poesia scaturisce da un approccio leggero ma non superficiale: si comincia dalle radici della commedia, il diverbio moglie e marito. La donna accusa l’uomo di essere un perdigiorno, di pensare solo a dormire e di non cercarsi un lavoro; Pulcinella fugge dai propri obblighi per rintanarsi nel sogno: è qui che si apre una parentesi onirica, che è di fatto il cuore dello spettacolo, nella quale il protagonista, seguendo le note e i ritmi della musica di Gioacchino Rossini, si ritrova in un mondo di avventure tra principesse rapite, cavalieri malvagi, animali parlanti e surreali figure da circo. I fondali mutano con grazia mostrando cangianti cromature pastello e mettendo in mostra le differenti tecniche legate al teatro di figura: dai classici burattini fino ai pupazzi che si muovono con i manovratori a vista (oltre a Comentale l’altro burattinaio è Giacomo Dimase); una complessità del segno che rende ancor più dinamica la messinscena e rappresenta anche un ulteriore piano di decodifica per la platea. Bambini e adulti si trovano di fronte alla relazione, visibile, tra attore e pupazzo, spettatori di un mestiere antico che qui si rivela profondamente moderno, tra i colori e le forme di Emanuele Luzzati ripresi nell’idea scenografica di Bruno Soriato. Come d’altronde è contemporaneo questo piccolo Pulcinella dal naso adunco (creato da Natale Panaro come gli altri oggetti e burattini): antieroe senza orizzonte, perdente perché indolente, incapace di produrre e dunque di essere. Preferisce sognare e fuggire poi su di una barchetta in mezzo al mare, consegnando allo spettatore questo piccolo mistero. Paolo Comentale attraverso una scrittura semplice e diretta non rischia di cadere nella trappola del patetismo, non ha bisogno di giudicare moralmente: Pulcinella è sconfitto dalla vita, ma allo stesso tempo è un ribelle, la fuga in mare aperto lascia interrogativi irrisolvibili sul suo futuro, ma è essa stessa metafora anche di un tragico abbandono, in direzione contraria alla retorica delle resilienza forzata.

Andrea Pocosgnich




Il teatro ragazzi è in viaggio: comincia il Puglia Showcase Kids 2019

Si balla fino a tardi al Napoli Teatro Festival, che quest’anno, in occasione del Puglia Showcase Kids 2019, grazie all’idea del Puglia Village, trasforma il Giardino Romantico di Palazzo Reale nel luogo in cui la città può vivere il teatro in maniera non convenzionale, attraverso l’incontro e lo scambio conviviale tra artisti, operatori e pubblico. Tanti gli spettatori napoletani, con una consistente partecipazione dei bambini, accompagnati sia dalle scuole che dalle famiglie e come di consueto in occasione del festival partenopeo, del pubblico proveniente da diversi paesi.

La presenza della vetrina pugliese al Napoli Teatro Festival, che per la prima volta apre una sezione dedicata al teatro ragazzi con il Puglia Showcase Kids 2019, un progetto della Regione Puglia, ideato e realizzato dal Teatro Pubblico Pugliese, ha dato dunque una visibilità anche a livello internazionale al teatro per le nuove generazioni, che da tempo aspetta un giusto riconoscimento; potrebbe trovare proprio in questa esperienza una più ampia diffusione, dimostrando che l’etichetta ha a che fare con il destinatario al quale si rivolge e non con l’idea che si tratti di un teatro “minore”. Ne hanno già dato prova, nella giornata di ieri, i due spettacoli in programma, che hanno affrontato in maniera poetica e delicata il tema del viaggio.

“Costellazioni. Pronti, partenza… spazio!”, uno spettacolo di Savino Italiano, Olga Mascolo, Anna Moscatelli e Giorgio Rossi, prodotto da Sosta Palmizi/I nuovi scalzi affida le uniche parole a Margherita Hack: «Nella nostra galassia ci sono quattrocento miliardi di stelle, e nell’universo ci sono più di cento miliardi di galassie. Pensare di essere unici è abbastanza improbabile». È nella natura dell’uomo l’istinto all’esplorazione e i protagonisti di questa storia intendono vedere più da vicino quel mondo fatto di stelle e di pianeti che osservano, scintillante, quando sono con il naso all’insù. Un bizzarro macchinario li aiuterà nell’impresa. Con il linguaggio della danza i tre attori in scena raccontano la poesia del sistema solare e dei corpi celesti, soffermandosi sul silenzio nel quale essi sono immersi, mostrandoci spesso immagini lente, sospese, come se tutti insieme fluttuassimo nell’infinito e misterioso universo che ci fa sentire piccoli e grandi insieme. Quell’infinito che vorremmo dominare navigando nelle acque nere in cui le stelle non indicano alcuna direzione, ma brillano quiete. Ci scontriamo però con le leggi dello spazio e del tempo, con la distanza che si calcola in anni luce e allora ridimensioniamo le nostre pretese, tutte umane, di essere al centro di un sistema del quale rappresentiamo solo una parte infinitesimale. Siamo arrivati a mettere piede sulla luna, ma raggiungere qualsiasi altro pianeta, ospitale come la Terra, per adesso è un’impresa impossibile. E ancora ci sostengono le parole tranquille e lucide della Hack, fondamentali per non farci perdere, per riportarci alla nostra misura di uomini e ricordarci che ci resta la Terra, della quale dovremmo avere cura.
Lo strano macchinario esce di scena, si ritorna a casa, a guardare le stelle con il naso all’insù.

Quello di Flavio Albanese è ancora un viaggio, il viaggio. “Canto la storia dell’astuto Ulisse” è uno spettacolo in cui si definisce a poco a poco la figura del famoso re greco, a partire da una conversazione iniziale insieme al pubblico, con il quale si parla dell’aedo Omero, che forse non è mai esistito, suggerisce il narratore sotto gli occhi sgranati dei bambini. L’interprete e autore della Compagnia del Sole accenna alle incredibili vicende dell’Odissea, ma non solo, perché quello di cui canta Albanese è anche un viaggio metaforico. Si parla del tempo, del tempo degli uomini e del tempo degli dei, irraggiungibili e immutabili, come corpi celesti. La narrazione, sostenuta dalle meravigliose figure d’ombra di Emanuele Luzzati, realizzate da Teatro Gioco Vita, ci porta in un tempo lontano, ma sempre presente, il tempo delle storie. Ulisse, quando la dea Calipso gli chiese se volesse o meno l’immortalità, ci pensò a lungo, finché non si rese conto che la vera immortalità si raggiunge con la gloria. Senza storia non c’è gloria e se la vita non finisce mai ci si ritrova in un lungo tempo immutabile in cui non c’è storia.