Viaggiare senza muoversi: prima istantanea dal festival

Segnali compie 27 anni, ma, nonostante la maggiore età acquisita da tempo, invita sempre i più piccoli a teatro per creare un legame duraturo con loro, giovani spettatori che, grazie a uno sguardo ancora bambino, si rivelano spesso il pubblico più ricettivo, critico e sincero.
Educare il giovane pubblico al teatro, “conducendo fuori” da ogni spettatore il suo modo di vedere e percepire ciò che lo circonda portandolo oltre, in una realtà altra, è un compito arduo in una società abituata a ricevere risposte più che a porsi domande, a consegnare immaginari preconfezionati anziché spingere il singolo a crearne di nuovi.
Segnali prosegue il proprio percorso di promozione del teatro per ragazzi in Lombardia, per raccontare un teatro che è prima di tutto luogo d’arte, di scambio e d’incontro.
La storia del Festival affonda le sue radici all’inizio degli anni Novanta, in quel teatro ragazzi che era riuscito a superare la sua fase pionieristica e ad affermarsi come uno degli elementi fondanti della produzione teatrale italiana.
Dal 1990 – anno della prima edizione tenutasi negli spazi dell’Ansaldo di Milano – a oggi, il contesto storico è cambiato ma Segnali continua ad accogliere compagnie nazionali e internazionali rivolgendosi sia al pubblico che agli operatori di settore, con il desiderio di creare momenti di scambio e confronto tra artisti e generazioni.

Il sipario si è aperto sulla XXVII edizione del Festival, sempre attenta a un teatro che sappia parlare anche agli adulti senza dimenticare il mondo dell’infanzia, ribadendo con forza il suo essere forma d’arte capace di raccontare l’essere umano ad altri uomini, nel presente storico in cui avviene. (c.f.)

Una figura dal portamento elegante, scalza, vestita in doppio petto di velluto, parla con un’intonazione distinta, una lingua che non conosciamo, ma di cui afferriamo tutto il senso. Anche la bimba di quattro anni che all’inizio interviene con voce cristallina chiedendo: «Ma che dici?» poco dopo si inabissa nel racconto catturata dal grammelot di Paolo Cardona, autore, attore e scenografo dello spettacolo che, a mo’ di vela per salpare, porta il nome dell’autore de I viaggi di Gulliver. Swift! è il lavoro di SKAPPA! & associès – Teaser, (compagnia italo-francese fondata nel 1998 dallo stesso Paolo Cardona e da Isabelle Hervouët), che ha inaugurato Segnali 2017, ma è anche una parola che torna sul palco e declina il proprio senso di volta in volta, a seconda dell’uso. Viaggiare senza muoversi, avendo però la possibilità di perdersi per ritrovarsi, paiono gli elementi alla base di quest’opera che è stata capace di trasportarci per un’ora dentro un’isola immaginaria, fatta di oggetti riciclati e colorati, un’isola delimitata dalle rotaie circolari su cui naviga una barca a vela, fendendo il mare di bottigliette di plastica vuote.
L’attore si sdraia a terra, il suo profilo viene proiettato sul fondo della scena e sui contorni di questa figura si avvia l’immaginifica costruzione di una metropoli composta da un enorme cumulo di oggetti da discarica, che pian piano assumono nuova vita facendosi torri e grattacieli. Qui i suoni della natura, gli eco degli uccelli e il frinire delle cicale, si alternano a elementi elettronici e sintetici, in un accostamento che seppur stridente non diventa mai minaccioso. Gli oggetti compongono e ricompongono mondi così come si può far esplodere una lingua, masticandola in bocca fino a risemantizzarla e a risputarla diversa.
Il racconto offre diverse sfaccettature e possibilità interpretative, a partire dal continuo sdoppiamento di piani con cui immagini, proiezioni e ombre investono l’attore e l’occhio a tratti smarrito dello spettatore che ha così la possibilità di spaesarsi rimanendo tuttavia sempre agganciato al meccanismo scenico proposto. Swift! combina I viaggi di Gulliver e Peter Pan in un intreccio che potrebbe rimandare anche ai viaggi fantastici e “immobili” di Judith Schalansky e all’interno di queste suggestioni mobili e “morbide”, lo spettatore è condotto, solleticato e sollecitato a crearsi un proprio itinerario di navigazione.

Il protagonista, nel corso dello spettacolo, reclama “Me black”, sorta di suo alter ego o anima, ombra proiettata sul fondo della scena che a un certo punto letteralmente prende vita autonoma e affianca l’attore sul palco. Me black, come nel Peter Pan di Barrie, è motore di azioni e avventure e, soprattutto, non risponde al suo legittimo proprietario, anzi ne rappresenta ulteriori “io possibili”, beffardi e picareschi. L’ombra si perde incarnando così la possibilità di interrogare (e interrogarsi) su quale sia, e soprattutto dove possa collocarsi, la parte più autentica di noi, quella parte così profonda e oscura che a volte capita ci sfugga, confondendosi nell’ambiente. Me black me? Dove vai? è una delle possibili domande che adulti e piccini si portano a casa come eredità di Swift!. L’opera è riuscita a mantenere la difficile china dell’apertura e, dentro a una complessità di rimandi, a rilanciare verso il pubblico la possibilità di intessere il proprio unico spettacolo, dimostrando ancora una volta come il teatro e le sue domande continuino anche dopo la chiusura del sipario. (a.d.)

Agnese Doria, Camilla Fava